Non è più tempo di pensare. Per il Sud il Governo dimostri di fare e saper fare

SUD – Progetti per ripartire” è una iniziativa di ascolto e di confronto che il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Mara Carfagna, ha deciso di promuovere per il 23 e 24 marzo in streaming in vista della elaborazione definitiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e della definizione dell’accordo di partenariato. Quando non si sa che fare nel nostro Paese la soluzione é quella di organizzare degli Stati generali. Diventerà lo sketch di qualche comico del momento. Lo ha fatto Conte con il gruppo Colao e nemmeno il nuovo ministro per il Sud poteva sottrarsi a questo rito, anche se nel passato si è rivelato pressoché  inutile.  Dalle 100 idee per lo sviluppo a cura del Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione sotto il ministero guidato da Carlo Azeglio Ciampi, nel mega convegno svoltosi a Catania, nel dicembre 1998, sono passati oltre 20 anni,  ma  i maître à penser del Sud non sono cambiati molto.

In quel caso si parlava delle “Strategie per la programmazione dei fondi strutturali 2000-2006“, convegno promosso dal Ministero del Tesoro, del Bilancio e della programmazione economica. Strategie che nuovi posti di lavoro non ne hanno creato nemmeno uno. Se siamo ancora fermi ai 6.100.000  di allora, dato pre-Covid.  Anche se non abbiamo la controprova di cosa sarebbe accaduto senza lo sviluppo dal basso propugnato da Barca. Continuiamo ancora a riflettere, spesso senza mai produrre un numero, su quello che deve essere il futuro del Mezzogiorno, che nel frattempo si desertifica. Forse bisogna rendersi conto che adesso non è più il momento di acquisire idee, oggi è il momento del fare. C’è stato tanto tempo per approfondire i temi e non siamo più all’anno zero,  nel quale si può cominciare a pensare cosa deve essere il Mezzogiorno nel futuro del Paese.                     

Ma è chiaro a tutti che l’ impresa é quella di creare un saldo occupazionale di oltre 3  milioni di posti di lavoro, obiettivo diventato il bench-mark di riferimento, anche condiviso da Svimez? Oggi non ci può essere più il tema se il Mezzogiorno debba essere agricoltura e turismo, perché si è visto dai numeri che questa è un’opzione inesistente. Possiamo partire dalle esigenze complessive di occupazione che si hanno nel Mezzogiorno o vogliamo ancora stupirci quando i numeri dei redditi di cittadinanza sono vicini ai 700 mila nuclei familiari? Ma se qualcuno avesse la voglia di andare a vedere quanti sono gli occupati che lavorano nel Mezzogiorno compresi i sommersi e quanti dovrebbero essere, se il Mezzogiorno avesse lo stesso rapporto popolazione occupati dell’Emilia-Romagna, ci si accorgerebbe immediatamente che l’esigenza del Mezzogiorno in termini di numeri è epocale e che certamente non può il Sud  avere un futuro senza una base produttiva adeguata, come dicevano i fondatori della Svimez, che non per nulla si chiama associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Questo è stato il motivo per il quale si sono create le zone economiche speciali, che stentano a partire, per le quali non c’è bisogno di fare alcuna riflessione, quanto piuttosto quella di nominare gli organi e dare risorse adeguate, di mettere in circolazione uomini e mezzi perché l’attrazione degli investimenti dall’esterno dell’area avvenga veramente, senza farsi fregare dal Piemonte, come recentemente nel caso di Italvolt e  di 4000 posti di lavoro persi.

 

Come pure non servono riflessioni particolari per capire che essere piattaforma logistica del Mediterraneo può portare fino a 400.000 posti di lavoro in più, così come è successo a Rotterdam. Ma tutto questo non può avvenire senza fare l’alta velocità ferroviaria e il ponte sullo stretto, sottoposto ancora ad una melina infinta, rispetto alla possibilità di inserirlo o non inserirlo nel Recovery Plan o se decidiamo se sia o non un’opera eco-compatibile, o se bisogna partire ancora da quegli esami progettuali che fanno sì che si ritorni alla prima casella, come nel gioco dell’oca. Come pure non ci vuole molto a capire che il turismo con 80 milioni di presenze, poco più del solo Veneto, in tutto il Mezzogiorno, non potrà mai essere un asset fondamentale per la produzione di Pil, né per la creazione di nuovi posti di lavoro, se non si inventano le ZES turistiche. Ovviamente gli incontri saranno pieni di green, di parità di genere, di scuola a tempo pieno, di eco-compatibilità e di aree interne. E chi può non essere d’accordo. Ma ci sarà poco o nulla invece sugli obiettivi di posti di lavoro, di anni necessari alla loro creazione, di settori nei quali bisognerà crearli, di come i porti di Augusta e di Gioia Tauro potranno diventare gli Hub portuali in concorrenza con Rotterdam. Ma accontenteranno la congrega degli addetti ai lavori che ormai formano un club esclusivo, ognuno con una o più etichette, su un Mezzogiorno esanime.